« Torna all'elenco delle domande
Entro quali limiti può esplicarsi il diritto di usare le parti comuni?
La giurisprudenza ha cercato di chiarire entro quali limiti può esplicarsi il diritto di usare le parti comuni.
Innanzitutto è pacifico che nel condominio degli edifici trova applicazione, per quanto riguarda i beni condominiali, l'art. 1102 cod. civ. (Cass. n. 2117, 6 aprile 1982); applicato a questa materia, l'art. 1102 comporta che ciascun condomino ha il diritto di usare la cosa comune nel modo soggettivamente più soddisfacente (Cass. n. 445, 27 luglio 1984), a condizione però che non ne alteri la naturale destinazione, destinazione che può consistere anche nella funzione estetico-ornamentale della cosa comune (Pret. Bari, 24 novembre 1983), che non pregiudichi la stabilità, la sicurezza e il decoro architettonico del fabbricato e che non arrechi danno alle singole proprietà esclusive e non impedisca, infine, agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto (Cass. n. 1789, 10 marzo 1983). Due sono, quindi, i limiti fondamentali da rispettare nel godimento della cosa comune: il divieto di alterare la destinazione della cosa medesima e il divieto di precludere agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto (Cass. n. 9644, 29 dicembre 1987).
I due concetti di destinazione della cosa e di pari uso da parte dei condomini sono stati ulteriormente specificati dagli organi giudicanti; la destinazione della cosa va considerata non in astratto con esclusivo riguardo alla sua consistenza, bensì con riguardo alla complessiva entità delle singole proprietà individuali cui la cosa comune è funzionalizzata (Cass. n. 3919, 6 giugno 1988); e invece la nozione di pari uso della cosa comune deve essere intesa non nel senso di uso identico (giacché l'identità nello spazio o nel tempo potrebbe importare il divieto per ogni condomino di fare della cosa comune un uso particolare o addirittura un uso a proprio esclusivo vantaggio, soprattutto nel caso di modificazioni apportate alla cosa), ma nel senso di qualsiasi altro uso normale, cioè conforme alla funzione propria della cosa (Cass. n. 4601, 14 luglio 1981; Trib. Milano, 19 settembre 1988).
L'utilizzazione da parte del condomino, rispettando i limiti visti, può avere luogo anche in modo particolare e diverso da quello praticato dagli altri compartecipanti (Cass. n. 6192, 28 novembre 1984); ma in ogni caso l'uso più intenso o diverso da parte di uno dei partecipanti alla comunione rispetto agli altri non vale di per sé a mutare il titolo del possesso e quindi ad attrarre la cosa comune o parte di essa nella disponibilità del singolo comunista (Cass. n. 319, 24 gennaio 1985). Comunque, l'uso della cosa comune da parte del singolo condomino non può estendersi all'occupazione permanente di una parte del bene comune, tale da portare all'usucapione della parte occupata (Cass. n. 663, 5 febbraio 1982).
Ulteriori informazioni potrete richiederle tramite il modulo on-line, o presso lo Studio Amministrativo Monti, tramite appuntemento.